Psiche

Stress da lutto: i sintomi fisici quando il corpo somatizza la perdita

Dott.ssa Elisa Pierotti
Dott.ssa Elisa Pierotti

Psicologa e psicoterapeuta

La D.ssa Elisa Pierotti ci spiega quali problemi fisici possono essere provocati da un grande dolore come la perdita di una persona cara e come possiamo agire per superarli.
Stress da lutto
Pubblicato il 16 Novembre 2021 | ultima modifica 20 Maggio 2022

Quando si subisce la perdita di una persona cara ci si trova a dover affrontare una forte e incontrollata condizione di stress da lutto, che influisce a 360 gradi sul nostro organismo.

La prima sensazione che si prova è un dolore molto intenso. Un dolore emotivo, sì, ma anche fisico, che pervade e opprime e che colpisce in particolare il petto e il cuore. La seconda è il fatto di sentirsi improvvisamente soli, inconsolabili e impotenti. Un profondo senso di solitudine che ci porta ad esempio a piangere in modo frequente e inaspettato, quando meno ce l’aspettiamo.

«Il tutto – spiega la dottoressa Elisa Pierotti – accompagnato da un senso di stanchezza profonda, emotiva e fisica, che rende difficile anche l’eseguire le piccole azioni della vita quotidiana».

Il lutto può diventare un problema fisico?

«Sì, il dolore si spinge molto in avanti. Il sistema immunitario si indebolisce, in momenti come questi è più facile ammalarsi di influenza, raffreddore e anche di cistite. Sono problematiche che si sviluppano spesso quando il nostro sistema immunitario è più fragile e in queste circostanze lo è di sicuro, perché tutto quello che abbiamo “in riserva” lo dobbiamo utilizzare, proprio come un’auto che sta finendo la benzina e che a un certo punto, per continuare a procedere, ha bisogno di essere rifornita. È proprio così: lo stato di “sospensione”, di apatia, in cui ci si trova a seguito di un lutto, deve prima o poi essere interrotto per poter ridare all’organismo la forza di andare avanti».

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Il lutto genera anche una condizione di ansia?

«Il lutto ci fa sentire molto più vulnerabili e questo crea in noi una situazione di insicurezza. Lo stato d’ansia, in particolare, è spesso collegato alla paura che quello che è successo possa accadere di nuovo ai propri cari. La paura è tale che può trasformarsi in vero e proprio panico, con la formazione di sintomi sia emotivi sia fisici, dal momento che c’è una stretta correlazione tra mente e corpo e quest’ultimo tende a somatizzare tutto quello che si prova a livello emotivo».

Perché non si ha appetito e non si riesce a dormire?

«C’è una spiegazione fisica a tutto questo. In presenza di un grande dolore e di una grande preoccupazione le ghiandole surrenali sono indotte a una sovrapproduzione di cortisolo, l’ormone dello stress, che va a incidere sulla digestione e sul sonno. Il sonno viene in particolare colpito anche perché è un momento in cui tutto si ferma, si spegne, si silenzia e quindi ci si ritrova ancor più soli ad affrontare il proprio senso di vuoto e solitudine. La perdita dell’appetito è invece legata anche alla non voglia di stare in compagnia o di assaggiare nuovi cibi. In generale si perde interesse verso tutto, anche verso la cura di sé stessi».

Come riprendersi e superare il disagio del lutto?

«Bisogna ricominciare a prendersi cura di sé stessi da tutti i punti di vista. Anzitutto curando i sintomi e i malesseri che si possono manifestare, poi prendendosi del tempo, sforzandosi di tornare a compiere piccole azioni che possano in qualche modo far tornare alla normalità come radersi la barba, per gli uomini, o truccarsi o vestirsi con maggiore accuratezza, per le donne. Questo avviene in genere quando si comincia a entrare nella fase dell’accettazione, quella che giunge alla fine del percorso di elaborazione del lutto».

Perchà a volte i sintomi dello stress da lutto non scompaiono?

«Se lo stress e i sintomi che ne derivano permangono per un lungo tempo significa che si è in presenza di un lutto non risolto o, peggio ancora, in un lutto complicato che può essere l’anticamera di una depressione cronica o anche di un disturbo post-traumatico da stress, cosa che avviene in particolare quando la perdita della persona è avvenuta per qualcosa di improvviso e inaspettato, come ad esempio un incidente stradale».

La condivisione del dolore con il coniuge può essere d’aiuto?

«Lo può essere in una coppia formata da persone che parlano, si raccontano, condividono tutto. Al contrario, è difficile che sia di aiuto quando questa apertura non c'era già prima del lutto che ha colpito entrambi. Non è un caso che ci siano molte coppie che si separano dopo la morte di un figlio. È importante che entrambe le persone condividano il percorso di elaborazione del lutto, comunichino tra loro e si “raccontino” quello che è successo per evitare che si venga a consolidare un cosiddetto “lutto congelato”. Non è positivo, inoltre, quando si ha un percorso di elaborazione non parallelo, quando cioè uno dei due soggetti rimane “attardato” rispetto all’altro. In questo caso è abbastanza facile che si venga a creare una frattura del rapporto».

Le reazioni al lutto sono diverse tra uomo e donna?

«Alcuni studi sembrano dimostrare che differenze ce ne siano, ma resta il fatto che, al di là del genere, a contare in definitiva è la persona. Non è esatto sostenere che la donna soffra più dell’uomo o che abbia più capacità di “aprire il proprio dolore” riuscendo a ottenere maggiore aiuto dall’esterno. Nella mia attività professionale ho spesso lavorato con uomini capaci di raccontarsi, di mettersi in gioco rispetto ai lutti subiti anche più di molte donne».

L’età può aumentare o diminuire la sofferenza per un lutto?

«L’età di sicuro è in grado di influire perché ad esempio se perdi un figlio quando hai 80 anni, pur nella gravità del lutto, reagisci in modo diverso rispetto a quando di anni ne hai 40. Ma è chiaro che tutto può variare a seconda del tipo di legame che hai avuto con la persona defunta, delle risorse che hai a disposizione, della storia della famiglia e di tanti altri fattori».

Ci si può non rendere conto dello stress da lutto che si sta subendo?

«Che la persona non se ne renda proprio conto è un po’ difficile, che non gli dia importanza, invece, può accadere. In quel caso diventa di fondamentale importanza la presenza di parenti e amici che possano aiutare la persona a prendere coscienza delle problematiche annesse al lutto e all’esigenza che queste siano affrontate. Un aiuto può venire anche dal medico di famiglia, che in tante situazioni può diventare una sorta di confidente/confessore».

L’aiuto esterno contro lo stress da lutto: farmacologico e psicologico?

«Il primo aiuto, che in genere viene disposto dal medico di famiglia, è di tipo farmacologico e consiste nella prescrizione di ansiolitici o calmanti. Lo stesso medico potrà suggerire un percorso di supporto psicologico da svolgere con l’aiuto di uno specialista e, nel caso lo ritenga utile e necessario, un percorso da svolgere nell’ambito di un Gruppo di auto mutuo aiuto. Perché è importante riuscire a progredire nel proprio percorso di elaborazione del lutto: tornare alla vita non vuol dire “tradire” la persona cara che se n’è andata, anzi, significa riprendere a vivere serenamente mantenendo dentro di sé il bel ricordo di chi non c’è più».

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