Psicologo e psicoterapeuta
Quando un lutto importante entra in una famiglia, coinvolge e travolge tutti i suoi componenti, dai più grandi ai più piccini. Ma se tra gli adulti in genere la “risposta” è più facilmente visibile, meno facile è individuare i segni lasciati da un lutto nel bambino. Come subiscono un lutto e come cercano di elaborarlo i bambini? Per avere una risposta è fondamentale avere il parere di uno specialista come il dottor Danilo Messina, psicoterapeuta psicoanalitico, modello Tavistock.
«Il lutto nel bambino è un tema complesso perché entrano in gioco molte variabili che possono incidere sulla sua elaborazione. Oggi, la ricerca psicoanalitica e la Infant Research hanno mostrato come gli effetti da eventi traumatici e luttuosi possano generare una pletora di reazioni legate a diversi fattori. Tra quelli di maggior incidenza ci sono la tipologia del lutto, l’età del bambino o della bambina, la capacità delle sue figure primarie di riferimento di mentalizzare gli eventi emotivi, il sistema familiare e il contesto socioculturale di riferimento».
«È facile immaginare che se il lutto riguarda una persona molto vicina al bambino, come un genitore, il fratellino o la sorellina, la reazione di questo sarà diversa e ben più emotivamente intensa rispetto alla perdita di un parente meno significativo o rispetto ad altri lutti che possono coinvolgere la famiglia, legati alla scomparsa di amici o conoscenti».
«Un bimbo o una bimba molto piccoli non hanno ancora sviluppato una propria capacità di elaborazione simbolica delle emozioni, la cosiddetta “mentalizzazione”, processo che inizia sin dalla nascita e che si sviluppa nel tempo grazie all’interazione con le figure primarie di attaccamento. Queste figure, abitualmente la madre, attraverso un processo psichico chiamato “rêverie” diventano una vera e propria mente ausiliaria per il piccolo e fungono da “contenitore” mentale dei pensieri non ancora elaborabili dal suo apparato mentale. Man mano che la piccola o il piccolo crescono - stiamo parlando di un periodo che va dalle prime settimane ai primi anni di vita - divengono sempre più capaci di gestire le emozioni, i sentimenti, le fantasie avendo sviluppato una sempre più autonoma capacità di mentalizzazione dell’esperienza emotiva».
«Ci sono bambini che sviluppano sintomi molto profondi e gravi, simili in tutto e per tutto a quelli propri della sindrome post-traumatica da stress. In realtà si tratta di meccanismi di difesa che il bambino o la bambina utilizzano nel momento in cui non riescono a capire da che cosa derivi il proprio disagio».
«Come detto, il bambino cerca nella relazione con l’altro un “contenitore” che lo aiuti a trasformare elementi di pensiero non ancora pensati perciò, nel caso del lutto, a svolgere le operazioni utili a superare o almeno rendere sufficientemente tollerabile il momento di difficoltà. Il problema sorge quando la persona che gli è vicina è coinvolta anch’essa dal lutto e quindi ha una scarsa disponibilità a offrire un proprio spazio “mentale” per il bambino. Questo può generare, nel piccolo, vari stati d’animo e sentimenti come tristezza e rabbia, ma anche vere e proprie forme di depressione che rischiano di acuirsi nel tempo, fino a quando non si presenta l’occasione di “buttarle fuori o sul proprio corpo”».
«A volte questa sensazione interna viene evacuata o portata nella dimensione reale attraverso l’attività motoria, il gioco, o attraverso strumenti di rappresentazione più evoluti, come i disegni, con cui il piccolo cerca inconsciamente di liberarsi di quello che ha dentro. Ma in gran parte dei casi questa liberazione può avvenire, e si torna al discorso di prima, solo con l’aiuto dei grandi. Sensazioni, sentimenti, elementi mentali non comprensibili vengono letteralmente proiettati sulla figura genitoriale. È il meccanismo della “identificazione proiettiva”, che sta alla base della revérie, di cui abbiamo accennato sopra e, più in generale della comunicazione umana, anche di noi adulti».
«L’identificazione proiettiva come meccanismo difensivo consiste nel fatto che tendiamo a spostare nella mente di un altro tutte le cose che non capiamo, non sopportiamo, non “digeriamo” perché ci sembra così di poterle gestire meglio. Di solito questo meccanismo è legato a sensazioni troppo forti da tenere dentro, che non siamo capaci di elaborare adeguatamente: portiamo fuori una parte di noi che consideriamo, anche solo inconsciamente, inaccettabile e ci sembra così di avere più possibilità di tenerla sotto controllo».
«Nel caso di un bambino piccolo la sequenza delle fasi del lutto come le conosciamo noi non è scontata perché il piccolo potrebbe utilizzare difese psichiche così forti da bloccare la normale evoluzione del processo di trasformazione dei sentimenti del lutto».
«In questa fase si possono evidenziare comportamenti portati all’estremo o altri nuovi, mai tenuti dal piccolo, come una chiusura o un ritiro dalle relazioni, un aumento dell’attività motoria o il presentarsi di difficoltà nel mantenere la concentrazione in compiti cognitivi come quelli legati alla scuola, aggiunti a sentimenti di tristezza, rabbia, depressione. Una forte attività motoria denota una certa difficoltà nel tenere dentro, gestire e trasformare elementi mentali sentiti come intollerabili e perciò una necessità di scaricarli all’esterno, il più velocemente possibile. Il disturbo dell’attenzione ha invece a che fare con la difficoltà di mentalizzare, cioè di tenere dentro di sé sentimenti, pensieri, idee… condizione che fa sì che il bambino si chiuda in sé e dica “non capisco”, preferendo la confusione mentale al complesso e doloroso processo di consapevolezza».
«In genere questi comportamenti anomali vengono riconosciuti nell’ambito della famiglia o della scuola. I messaggi lanciati sono vere e proprie richieste d’aiuto per uno stato d’animo che il bambino non sa riconoscere, ma che riesce a “segnalare”, spesso inconsapevolmente, a chi lo circonda, sempre attraverso il meccanismo di proiezione di cui abbiamo parlato prima. Non sempre troviamo bambini o bambine capaci di verbalizzare questa esperienza: esiste tra l’altro un effetto di genere che vuole che di solito le bambine siano più capaci di utilizzare una modalità verbale rispetto ai maschietti che scelgono la via “motoria”. Quando gli stati mentali del bambino sono troppo perturbanti, questi può entrare in una condizione in cui si sviluppano forti sentimenti di rabbia, depressione e può anche sorgere la convinzione di essere la causa della morte del genitore o del fratellino/sorellina. Un altro sviluppo può essere quello della rabbia nei confronti del genitore superstite perché non ha impedito che ci sia stata la morte e, in alcuni casi, perché viene considerato responsabile della scomparsa di un caro. Sono condizioni mentali tremende che però non stupiscono se pensiamo che quella del lutto per un proprio caro è l’esperienza più tragica che un bambino possa vivere».