Psicologa e psicoterapeuta
È molto difficile stare vicino a chi ha subito un lutto ed è ancora più difficile riuscire a portare alla persona un vero conforto, che non si fermi alla semplice “facciata”. Per poterlo fare occorre anzitutto essere in grado di gestire il tema della morte, anche attivando esperienze personali legate a lutti precedenti.
Molto importante, da questo punto di vista, è il contesto sociale in cui questa vicinanza viene prestata: «La famiglia – sottolinea la dottoressa Elisa Pierotti – è un potentissimo fattore protettivo quando è in grado di far sentire alla persona che soffre che non è sola, che accanto a lei c’è qualcuno con cui condividere le emozioni, i pensieri».
«Non significa semplicemente essere presenti fisicamente. Molto importante è il timing: bisogna cercare di farsi sentire, farsi vivi il prima possibile, perché man mano che trascorre il tempo diventa più difficile creare un contatto empatico con la persona che soffre. E a volte in questa si può generare rabbia per non avere ricevuto una visita in tempi più ristretti».
«È molto importante saper fare propri i suoi racconti sui vissuti emotivi, i suoi pensieri, anche i ricordi legati alla persona che non c’è più. A volte il silenzio è d’oro ed è molto meglio di frasi come: “Non devi fare così…”, “Non devi avere paura…”, “Non devi essere triste…” che sono del tutto sbagliate e generano nella persona un pensiero come “Se io mi sento così e tu minimizzi è perché non mi stai comprendendo”. Con il risultato di aumentare, invece di diminuire, il senso di solitudine. Le parole d’ordine per aiutare chi ha subito un lutto sono dunque: ascoltare e accogliere».
«No, soprattutto quando è accompagnato da gesti che esprimono vicinanza. È importante generare un contatto fisico, magari appoggiando una mano sulla gamba o sulla spalla, facendo una carezza, anche in base al grado di confidenza che si ha con la persona. Le parole, in questi frangenti, pesano molto. A volte si vorrebbe dire qualcosa che si crede possa essere di conforto e invece si ottiene il risultato opposto. Bisogna partire dal presupposto che chi ha subito un lutto può attraversare la cosiddetta “fase della rabbia” per cui qualsiasi cosa venga detta o fatta viene accolta come fastidiosa e inopportuna».
«Bisogna anzitutto evitare di minimizzare lo stato di sofferenza della persona. Può essere utile raccontare la propria sofferenza provata in passato, in una situazione simile a quella attuale, ma quello che si dice non deve mai sminuire ciò che la persona sofferente sta vivendo in quel momento. Bisogna far sentire che si comprende il dolore e far capire che si parla della propria esperienza personale solo perché si sta condividendo un momento a nostra volta vissuto. Nei giorni che seguono, quando l’intensità del dolore comincia ad affievolirsi in modo naturale, può essere anche decisivo aiutare la persona in lutto a capire che è possibile superare la grande sofferenza che la riguarda. Per farlo occorre utilizzare il giusto tatto per non far pensare che il nostro aiuto sia in realtà un tentativo di sminuire la gravità della condizione».
«Di sicuro è di maggiore aiuto parlare della situazione. Far finta di niente può essere pericoloso, un forte ostacolo a quel percorso di elaborazione del lutto che, attraverso le varie fasi che lo compongono, prevede che la condizione di sofferenza non venga accantonata ma sia affrontata e, nei giusti modi e tempi, superata».
«È molto importante cercare di mantenere i contatti con la persona anche dopo la cerimonia del funerale, perché all’inizio, nei primissimi giorni, tutti sono vicini ma con il passare del tempo tendono a tornare gradualmente alla propria vita. Quindi avere vicino famigliari o amici che invece continuano a essere presenti, che vengono a trovarti, ti invitano a uscire con loro o ti propongono di partecipare a iniziative rispettose del momento che stai attraversando, non può che essere positivo».
«Bisogna riuscire comunque a fare sentire la propria vicinanza, anche a distanza di tempo. A volte può bastare un messaggio – come ad esempio “ti penso”, “ti mando un abbraccio” –, un augurio mandato attraverso il cellulare, per riuscire a donare un momento di conforto. È importante anche fare capire che non ci siamo dimenticati della persona scomparsa. Un ricordo, una foto, il racconto di un aneddoto vissuto in passato possono commuovere la persona e nutrire la sua anima, dandole un’ulteriore forza per affrontare il quotidiano. Non ci si deve preoccupare troppo per la lontananza fisica: una telefonata o una videochiamata possono essere molto utili per far sentire la propria vicinanza in qualsiasi momento e per far capire alla persona sofferente che è sempre nei nostri pensieri».
«Bisognerebbe evitare di chiedere “Come stai?”. È una domanda odiata, perché la risposta, quando si sta passando un momento così drammatico, è del tutto ovvia. È una domanda che in genere si pone così, senza neanche troppo pensarci, quasi come fosse un intercalare, ma che in questa circostanza suona davvero come inopportuna, inutile e fastidiosa. In generale, comunque, quando si vuole dare conforto è meglio spendere poche frasi, ma che siano “vere” e sentite».
«Se nel corso del tempo si vede che gli sforzi compiuti dalle persone vicine non aiutano il sofferente a elaborare il proprio lutto e soprattutto se sono evidenti sintomi fisici, oltre che emotivi, che dimostrano l’esistenza di una condizione di stress intenso, allora diventa importante cercare di suggerire alla persona un aiuto esterno. Questo aiuto può arrivare da uno psicologo con cui intraprendere un percorso psicoterapico di elaborazione del lutto, o da uno psichiatra che imposti una terapia farmacologica adatta alla specifica situazione. Ma possono anche essere utili i cosiddetti gruppi di auto mutuo aiuto che possono portare un sostegno molto valido, in grado di favorire nel migliore dei modi l’elaborazione della perdita incidendo positivamente sulla situazione di stress collegata».